Il rifacimento della pittura della Cattedrale greco-cattolica di Bucarest è – cosi come si deve ed è già stato ricordato – un serio progetto teologico e liturgico. Possiamo parlare veramente di pittura sacra quando il tema religioso raffigurato secondo i canoni estetici consacrati diventa una epifania della fede. La vera arte sacra si sottomette al discernimento teologico della Chiesa, le sue rappresentazioni avendone l’obbligo di rispecchiare il sintagma Immagine-presenza secondo la verità dell’Incarnazione. Ma soprattutto, per essere sacra l’arte deve fare parte dall’esistenza viva dei fedeli, con lo scopo di accompagnarli attraverso la fede nel culto e nella pietà personale. Ci soffermeremo questa volta alla scena votiva – di presentazione dell’offerta -, realizzata sotto l’arcata sopra l’entrata. Spesso, la scena votiva è l’unico ”intruso” del presente in un programma iconografico, la polvere della storia che mira di rispecchiare nell’eternità.
Il pittore Ivan Karas ha capito, quindi, di rivelarci non solo la maestria delle forme, ma anche la luce degli occhi di coloro che hanno scritto la storia. La loro confessione della fede si unisce cosi con quella, umile, del pittore stesso. Il primo elemento di particolare che fa impressione è l’arco di luce che circoscrive la scena nella parte superiore, conferendo all’intero un’aura ineffabile, allusione alla luce non creata, quella del mattino del primo giorno della Creazione, ma anche al briciolo di luce che ha avvolto gli inizi della nostra cattedrale. Dopo una commovente vita di sofferenza per la Verità delle le anime qui rappresentate, la gloria della pace dinanzi al trono di Dio scolpisce nello sguardo dei nostri cuori la luce della Risurrezione del Crocefisso seduto sul trono della sua gloria. Il contegno monumentale e la disposizione dei personaggi, la tipica melancolia aristocratica, tipica per la tarda pittura bizantina, riflessa sui volti, il disegno fermo, quasi sculturale, ma soprattutto la paletta dei colori usata, molto sontuosa, indica l’attimo eterno della divina maestà.
Se di solito una composizione votiva era l’occasione per mettere in mostra le insegne di potere dei donatori, negli abiti o nella gestualità, qui tutto questo è assente. La Croce, la corona di spine, la chiesa-altare di sacrificio, il filatterio della mano di Giovanni Battista, hanno l’aura di un ”si” pronunciato con la propria vita dai testimoni in tal modo che la scena diventa quasi una sacra conversazione. Contempliamo cosi l’arcivescovo Netzhammer presentando la sua chiesa-fondazione, raccomandato da san Basilio Magno al quale ha scelto di intitolare la chiesa. Nel ricevere la benedizione di Cristo, l’arcivescovo gode della gioia del dovere compiuto, un dovere condiviso con i compagni presenti, che offre alla sua fondazione la certezza del buon operato compiuto in vista dell’eternità. Notiamo il vescovo Balan, il primo sacerdote in funzione della chiesa – diventata in questi anni cattedrale -, che presenta la sua corona insieme al Beato martire Vladimir Ghika e al vescovo Chinezu, compagni di sofferenza nella fede, vicini ad un Giovanni Battista che li indica come servitori fedeli della promessa. Ai lati, due stemmi – gli unici particolari di apparato della composizione – inquadrano la scena. In effetti, lo stemma della nuova eparchia e quello del nostro vescovo Mons. Mihai, ci situano nel presente, invitandoci di contemplare con gli occhi dell’anima e del corpo l’avventura della comunione dei santi.
Il riflesso della commovente pace che procede dal Padre delle luci, la realizzazione della scena votiva della nostra cattedrale non è solo un comune dovere verso il passato o il pitturare semplicemente una parte del muro interiore. E’ una celebrazione della grazia che trasfigura le storie umane nella luce della Croce, preparando il nostro ritrovamento in Cristo, sottolineando soprattutto l’importanza del sentire liturgico della vita di ognuno di noi e la gioia della bellezza del Cielo.
P. Lucian Lechintan SJ